Scopri le origini dei dolci di Carnevale lungo le Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori d’Italia

Cosa si mangia a carnevale? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Kezich, direttore del  Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina che attraverso i cibi tipici della mascherate invernali ci ha raccontato il significato più profondo di questi riti tradizionali.

Il video è stato realizzato per partecipare all’iniziativa di Strade Vino Italia “Carnevale virtuale 2021 con i sapori e i saperi d’Italia” e in collaborazione con Strada del Vino del Trentino. Riprese e montaggio Lorenza Corradini, intervista a Giovanni Kezich, fotografie Antonella Mott, MUCGT, 2021 Sono molti i cibi del Carnevale che testimoniano il significato delle mascherate tradizionali. Il Direttore del Museo ci racconta cosa si mangia a Carnevale.

Una storia universale legata ai ritmi contadini

a cura di Guido Stecchi, Presidente Accademia 5T 

Chiacchiere, tortelli, frittelle di carnevale piacciono a tutti eppure li mangiamo solo a carnevale.

Ci siamo mai chiesti il perché?

Perché questi dolci hanno una storia universale legata ai ritmi contadini.
In tutta Italia ancora oggi si mangiano solo a carnevale e sono uno dei punti unificanti della storia gastronomica del nostro paese.
Già la parola carnevale ci aiuta a capire.
“Vale” sta per levare, levare la carne dal grasso.
Il grasso è lo strutto, la carne è quella suina conservata nello strutto.
In inverno, e solo in inverno, si uccideva il maiale e lo strutto era abbondante. È un grasso che si conserva ma è pure un grasso che conserva: carni cotte e salamini stavano immersi nello strutto e venivano “levati” a mano a mano che venivano mangiati. Così, era nel periodo di carnevale che era disponibile in quantità per friggere.
Ma carnevale era, ed è, la festa della trasgressione.
Ognuno, anche il più miserabile dei servi, poteva dire ciò che voleva.
A Venezia a carnevale si poteva persino prendere per i fondelli il Doge.
E il cibo dolce era simbolo di libertà.

Ecco quindi che il cerchio si chiude: fritti perché c’era tanto strutto, dolci per il loro valore simbolico trasgressivo, festaiolo, epicureo.

Un viaggio attraverso l’Italia

I dolci carnascialeschi più classici e diffusi in tutta Italia sono le chiacchiere o galani, crostoli, lattughe, frappe, cenci, bugie… Poi la frittella classica, ovvero i tortelli.

Le prime sono una ricetta antichissima della tradizione pasticcera degli scaleteri, il nome antico dei pasticceri che fin dal 1100 producevano queste delizie nel periodo di carnevale: ne troviamo innumerevoli citazioni nei testi di storia e nelle commedie del Goldoni.

I tortelli, vuoti o ripieni con mille varianti ma con un’impostazione comune, sono bigné fritti, nati da un’idea base francese, pur se già nel lontano 1579 le Orsoline di Brescia li avevano sicuramente elaborati.
Appartengono alla stessa famiglia di dolci i krapfen, in origine chiamati boule de Berlin, palle di Berlino, e anch’essi carnascialeschi, così come le zeppole napoletane, tradizionali anche a San Giuseppe (19 marzo), tanto per far fuori altro strutto qualche settimana dopo.

Naturalmente si friggeva quello che c’era.
Ed ecco quindi le frittelle di riso, diffuse non solo dove il riso era coltivato ma pure nella vallate da cui scendevano le mondine a lavorare nelle risaie, pagate anche con un sacco di riso. Nelle Marche, le frittelle fatte con metà farina e metà patate. Era un dolce di carnevale pure la crema di semolino fritta, diventata poi uno dei tocchi di fantasia nel fritto misto ligure e piemontese.
O, soprattutto a Bologna, lungo il litorale adriatico e al sud in genere, i ravioli fritti e vari dolcetti ripieni con miele, frutta secca, spezie…

L’origine è araba, da noi è cambiata una cosa sola, la cottura.
Gli arabi li cuocevano in forno, noi friggiamo. E, da sempre, nello strutto.
Oggi anche con l’Olio da olive italiano, ottimo per sostituire lo strutto in un’epoca vegetariana.